ATTIVITA’
VENATORIA ED USO DEL TERRITORIO
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– Origini ed evoluzione della caccia
2 – La caccia nella penisola Italica
3 - II modello industriale e quello postindustriale
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– Origini ed evoluzione della caccia
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La caccia ha origini molto remote, l’uomo ha esercitato questa attività, con
la pesca e la raccolta delle bacche, sin dalla comparsa, anzi, dalla
determinazione della sua specie.
Naturalmente, altre specie animali cacciavano contemporaneamente all’ominide,
ma questo si distinse nell’esperienza della caccia e della pesca organizzando
le proprie attività e gradualmente adottando mezzi e strumenti che gli
consentirono di non avere rivali.
La caccia continuo ad essere una delle essenziali attività dell’uomo, sino a
quando egli accortosi dell’incostanza della fortuna e delle incerte possibilità
a trarne sufficiente vantaggio, in dipendenza, soprattutto di eventi naturali,
cerco di realizzare riuscendoci, condizioni di relativa sicurezza
nell’approvvigionamento della carne, mediante la cattura ed il mantenimento di
alcune specie selvatiche. Queste ultime si adattarono tanto alle condizioni di
cattività nel recinto; che alcune, pur essendo chiuse in questi ultimi,
riuscirono addirittura a riprodursi.
La progressiva evoluzione dell’allevamento e contemporaneamente lo sviluppo
dell’agricoltura e la naturale necessita di dotarsi di una stabile dimora
dotare l’uomo determino un naturale cambiamento dell’uso del territorio e
delle risorse naturali.
Infatti queste nuove attività produttive dell’uomo incisero sul territorio e
sul paesaggio, ben più profondamente di quel che non fosse avvenuta con le più
antiche attività della caccia e dell’economia di raccolta; cosi i boschi, le
macchie, le praterie cominciarono ad essere chiazzate dal fuoco dei ”debbi”
e dalle radure dei dissodamenti.
2 – La caccia nella penisola
Italica
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Nella penisola Italica fino alla vigilia della colonizzazione greca ed etrusca,
e per molte parti del Paese, fino ad età più avanzata, il paesaggio resta
dominato da attività di tipo silvo-pastorale, come quello della caccia e
dell’allevamento brado.
Anche dopo la conquista e colonizzazione romana, nonostante l’avvio di un
nuovo ed organico sistema agrario (limitatio), la caccia ha continuato a
godere di particolare considerazione, trattandosi di attività connessa alle
necessita vitali. Tant’e vero che in età repubblicana gran parte del
territorio era mantenuto incolto (saltus): infatti - secondo la
descrizione del giureconsulto e filologo Elio Gallo - il paesaggio si presenta
informe ”ubi silvae e pastiones sunt”, cioè di selve per la
riproduzione ed il mantenimento della selvaggina e pascoli per il bestiame.
La selvaggina era considerata dai Romani ”res nullius”, cosa di
nessuno, proprietà del primo occupante - tale concetto giuridico ancora oggi
valido in Italia – porto ad un fiorente commercio della selvaggina ed i
mercanti si arricchivano facilmente con i prodotti della caccia.
L’importanza dell’attività venatoria portò addirittura od una divisione
delle province romane in distretti di caccia (cynegia), rette da
procuratori comandanti milizie di cacciatori, come ne fanno fede gli scritti di
Varrone, Plinio, Aulo Gellio, Orazio, Marziale, Plutarco, Giovenale, Seneca e
numerosi altri.
Anche per tutto l’Alto Medioevo ed oltre le cose non cambiarono di molto, il
paesaggio italiano resta segnato, pur dove e maggiore la presenza umana, da
attività del tipo silvo-pastorale, come quelle della caccia e
dell’allevamento brado. Anche quando si tratta, di fondi rustici privatamente
appropriati e ridotti a coltura, non manca mai nelle descrizione delle carte di
questa età, la formula ”cum cultis et incultis”.
Cosi verso la meta del cinquecento un ritorno all’impaludamento di terre gia
bonificate, porta ad un incremento della caccia per la piccola selvaggina,
infatti le paludi, quando non restavano del tutto deserti per la malaria,
divengono sovente teatro di attività venatorie.
La caccia, inoltre, rimane ancora una risorsa importante per l’integrazione
alimentare, ponendosi sullo stesso piano delle altre attività agricole, anche
se viene sempre più assumendo il carattere di un privilegio e di uno svago
preferito per te classi dominanti, riducendo la possibilità al contadino di
praticare la caccia, che diviene sempre più un’attività proibita e
tollerata.
Tutto ciò porlo ad una maggiore tutela del patrimonio forestale ormai in via di
degrado, mettendo freno ad un ulteriore sviluppo del disboscamento.
In questo modo, l’uso tecnico ed economico del territorio favorirono la
attività venatoria; tant’e vero che non vi fu sovrano, principe o nobiluomo
che non esercitasse la caccia, nei modi e nei sistemi più vari, secondo le
particolari preferenze, ma allo stesso tempo la forte conflittualità sociale
impedì il formarsi di una moderna etica della caccia, infatti presso le classi
rurali la caccia fu sentita come un ”diritto negato” e quindi praticata come
attività illecita e di rapina.
Solo con l’avvento dell’era fascista e l’approvazione del testo unico
sulla caccia del 1923 si aprirono le porte ad una pratica di massa della caccia
che sfocio in quel grosso sviluppo nel secondo dopoguerra che tutti conosciamo.
Ed e proprio in questo momento che esplosero le contraddizioni di una pratica di
massa, combinate con la trasformazione rapida e radicale dell’Italia da paese
agricolo a paese industriale ed il relativo spostamento di popolazione dalla
campagna alla città.
3 - II modello industriale e quello
postindustriale
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Quanto nei punti precedenti siamo venuti rilevando, a proposito della struttura
e della rilevanza economica della caccia in Italia, ci permetterà di
tratteggiare più rapidamente, in questa parte conclusiva, le grandi linee
dell’attività venatoria nell’Italia contemporanea, osservata appunto dal
particolare punto di vista dell’uso del territorio.
La dominanza economica, asse centrale di sviluppo del modello della società
industriale, esigeva una produzione intensiva di beni materiali attraverso la
utilizzazione strumentale e passiva della risorse naturali.
E’ proprio la priorità indiscutibile di questo obiettivo che caratterizza
questo modello di società ed in essa ogni altro spazio vitale di interessi e di
bisogni finisce per collocarsi in termini subalterni e di funzionalità rispetto
alle esigenze della produzione economica.
Appare evidente allora come tutta l’area vitale delle risorse naturali e del
territorio, anche quelle destinate al bene dell’uomo come il rispetto del
verde, l’aria non inquinata, il mare pulito, la stessa diffusione ed equa
distribuzione della fauna selvatica, nel modello di società industriale, hanno
perduto di senso e di peso, perdendo di autonomia e di soggettività e
diventando uno spazio sociale passivamente strumentale ai bisogni di produzione
industriale dell’uomo.
E’ agevole, allora, all’interno di questo modello di interpretazione
riconoscere alcune delle trasformazioni strutturali che hanno interessato in
questi anni il mondo della caccia.
Pensiamo infatti alla caccia considerata come abbattimento senza il rispetto
delle regole e dei criteri di salvaguardia dell’equilibrio dell’ecosistema.
Pensiamo alla mobilita dei cacciatori che hanno perso il riferimento al proprio
territorio come garanzia di uno scambio uguale di esigenze, di cultura e di
vitalità. Pensiamo infine all’eccezione più negativa della pratica venatoria
come sport di massa senza retroterra culturale e senza coscienza e
responsabilizzazione nei riguardi della salvaguardia dell’ambiente ecologico.
Vi e stata quindi una serie di correlazioni consequenziali tra, da una parte
quella che era la concezione dell’uso del territorio e delle risorse naturali
all’interno del modello di società industriale e dall’altra le
trasformazioni verificatesi nel mondo della caccia che oggi, in fase di
assestamento del modello di società postindustriale, con il conseguente rifiuto
di un eccessivo condizionamento della dominanza economica sugli altri ambiti
della vita sociale, costituisce ”iI problema”.
Ciò spiega allora anche l’atteggiamento di diffidenza e di avversità che e
sempre più manifesta nei riguardi dell’attività venatoria, e del tutto
ricollegabile anzi parte integrante della protesta ecologica in difesa del
territorio e delle risorse naturali di ogni tipo compresa la fauna.
Bisogna allora ricercare preventivamente in quale direzione si sta modificando
il rapporto uomo-territorio-natura, in modo tale da poter programmare strategie
di intervento che interpretino in maniera corretta, sulla base di un consenso
generalizzato, le aspirazioni degli uomini in una società di tipo
postindustriale e configurare poi in maniera armonica ed in termini di continuità
con questa modalità il ruolo, la cultura ed i contenuti della pratica
venatoria.
In questa prospettiva non si tratta certo di annullare i contenuti tecnologici e
le potenzialità di organizzazione e di razionalizzazione della società
industriale, ma fare in modo che questi elementi risultino compatibili e non
prevaricanti rispetto all’obiettivo principale del cambiamento.
E’ in questo senso che la pratica venatoria non può più prescindere da
legami di stretta alleanza con quanti oggi vivono e si impegnano sul territorio
e sull’ambiente naturale.
Gli urbanisti, gli ecologisti, gli agronomi, gli esperti di problemi ambientali,
gli stessi cittadini che sfuggono periodicamente dallo spazio costruito per
ritrovare il verde e la natura: sono le componenti che pur nella loro specificità
possono essere amalgamati dall’unita sostanziale del fine generale che e
quello di costruire un territorio a dimensione d’uomo.
L’apporto economico che oggi il ”cacciatore-cittadino-contribuente” può
dare in questa direzione può essere determinante; le modalità e gli strumenti
da utilizzare sono quelli indicati e previsti dalla leggi, che se applicate con
la dovuta correttezza ed impegno da parte di tutti consente di giungere fino al
dettaglio e risolvere in modo adeguato piccoli e grandi problemi di recupero e
ripristino di situazioni compromesse del territorio.
Alfredo CAVALLO
Tesoriere dell’A.T.C, BRlA
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Cosimo DELLE DONNE
Direttore Tecnico dell’A.T.C. BR/A
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Giuseppe PAGLIARA
Vice Presidente dell’A,T.C. BR/A
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Giuseppe RE
Segretario Amministrativo dell’A.T.C. BR/A
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